domenica 17 aprile 2011

prosopagnosia


Soffro di una strana forma di cecità selettiva, che colpisce le persone; i volti, in modo particolare.
Mi spiego meglio.
Lo so che sembrerà una cosa poco simpatica da dire, ma raramente rimango colpito da una persona. La maggior parte della gente che incontro mi passa davanti senza quasi lasciare tracce.
Un bell'inconveniente, perché finisco per fare un'enorme confusione di nomi e di facce: tutte le persone che conosco sembrano fondersi in un continuum, nel quale gli elementi contigui sono per me del tutto indistinguibili. Oppure, peggio ancora, una lieve somiglianza basta a innescare un'associazione di idee e a farmi confondere una persona con un'altra che magari non c'entra niente. (E non è un problema da poco per uno che fa l'insegnante, dato che ancora dopo mesi di scuola continuo a non ricordare i nomi di allievi e colleghi, o a confonderli l'uno con l'altro).
Non si tratta nemmeno di una questione di memoria: altre cose le ricordo con assoluta precisione, ad esempio i libri che ho letto, i dischi che ho ascoltato, o persino alcuni luoghi che ho visitato.
Le persone, no.
Mia suocera, che è una grande osservatrice (anche troppo: certe volte mi ricorda il signor Palomar calviniano, che si smarriva nei dettagli e perdeva di vista l'insieme) mi chiede spesso se mi ricordo di una certa persona, descrivendomi persino il suo vestito, nei minimi particolari, e ricevendone ogni volta, in risposta, sguardi smarriti.
E le donne, verrebbe spontaneo chiedersi? Neanche quelle?
Dipende.
Se penso alle donne di cui mi sono innamorato, fatico a trovare un elemento comune che mi abbia colpito in loro: ce ne sono di alte e basse, bionde e more, snelle e tonde, minute e prosperose. Sospetto, insomma, di non avere un tipo ideale e di venir attratto da elementi del tutto casuali, o misteriosi se preferite.
Di E. mi colpì il profilo: perfetto, purissimo, quasi inciso in un cameo di madreperla; di V. mi piaceva la magrezza nervosa, angolosa, androgina, tutta racchiusa in un corpo minuscolo; di M., una certa aria al contempo materna e provocante; in A. mi incantavano le venature scure della voce, armonizzate da un lieve accento romagnolo; oppure mi possono piacere, non so, i piedi (sì, non so resistere a un bel piedino), o la curva della nuca, o magari soltanto un modo insolito di atteggiare le spalle o di inclinare la testa da un lato. Di una mia compagna del liceo adoravo i capelli, una cascata di riccioli color bruno ramato nei quali, per farla arrabbiare, mi divertivo a infilare penne e matite.
Azzardo un'ipotesi: sono attratto dall'ordine e respinto dal caos. Nel turbinìo di linee e tratti che costituiscono un volto reale, una persona reale, cerco ogni volta un elemento trascendente, un filo sottile che lo leghi a un'idea iperurania di Bellezza; a una scintilla d'eterno.

3 commenti:

lillo ha detto...

la bellezza è verità, come diceva il mio buon maestro formigoni. io non ero d'accordo ma esprimeva bene sia il concetto che la poetica...

milo temesvar ha detto...

forse sei più Marcovaldo che Palomar

Anonimo ha detto...

Non c'è nulla su cui scherzare la prosopagnosia è un'alterazione della percezione altamente delibitante per noi esseri umani. Sì perchè le relazioni umane sono basate soprattutto sul riconoscimento dei volti.
Anche io sono un'insegnante con 190 alunni e con dirca 60 colleghi a cui non riesco dare un nome. Li chiamo cara o caro, ma chi sono bohh. Ogni volta che devo riconoscere una persona è uno strazio. Molti alunni se ne sono accorti e si approfittano della mia agnosia (menomazione).