venerdì 13 aprile 2018

mappature

Avete presente quel racconto di Borges, in cui un imperatore decide di far disegnare una mappa del suo impero che sia il più fedele possibile, e finisce per realizzare una mappa grande quanto l'impero stesso?
Ecco, se io - che mi considero un lettore piuttosto forte di poesia - dovessi provare a mappare la poesia degli ultimi trenta o quarant'anni, finirei per fare la stessa cosa: una mappa grande quanto il proprio oggetto. Perché, come ben sa chi se ne occupa, la poesia contemporanea è esplosa in una miriade di esperienze che non sembrano più avere un centro.
A scuola, quando studiamo il decadentismo o l'ermetismo, i ragazzi mi chiedono spesso: "Prof, e oggi? Che movimento c'è? Qual è la scuola poetica contemporanea?" E io, lo confesso, non so mai che cosa rispondere.

Pure, c'è chi queste mappature prova a farle. Per esempio, è appena uscito un libro di Maria Borio, che si occupa proprio di tracciare le linee di quanto è successo nella poesia italiana tra gli anni Settanta e gli anni Novanta, seguendo i percorsi individuali di alcuni autori attraverso la lettura dei loro testi.
Qui sotto c'è un piccolo estratto; uno più lungo lo trovate su "Le parole e le cose"; però il libro vi consiglio di comprarvelo tutto.

"Con la crisi delle ideologie e la complessità senza conflitto del postmoderno, l’io non ha più un orizzonte umanistico di valori cui fare riferimento. La conoscenza che può portare dipende dal limite della sua esperienza. Prendere coscienza di questo limite diventa essenziale: ridimensiona un paradigma ingenuo di valori assoluti, ma supera anche l’espressivismo che non si pone affatto il problema di valori assoluti e che si esaurisce in una voce confessionale, oppure deflagra in un narcisismo nichilista. La lirica che cerca la conoscenza, che combina l’epifania con il saggio, ha invece ben presente che lirica non vuol dire solo espressività, ma consapevolezza etica di un limite individuale. [...] Questa soggettività non si rappresenta più in modo individualista oppure esistenzialista. Si colloca, come se fosse un campo osmotico di relazioni, dentro il divenire e le contraddizioni dell’esperienza, dentro l’autentica fenomenologia dell’esperienza, come già suggeriva l’apertura della poesia di Sereni al flusso multiforme e multiprospettico dell’esperienza vissuta. La consapevolezza del limite della propria esperienza fa da barriera contro la riduzione egocentrica e vede l’io in una condizione fluida, un essere in situazione prima che essere situato. La singolarità è aperta alla pluralità. [...]

Se non è più plausibile la centralità di un individuo in rapporto a un sistema universale di valori, se appare vuota la fiducia nella centralità della sua espressione che non si pone il problema di un orizzonte di valori oppure si proietta in un nichilismo narcisista, diventa importante abbassare l’ideale umanistico o, meglio, farlo entrare nella complessità dell’esperienza. L’ideale umanistico non è più un esempio che ci sovrasta, che ispira dall’alto la vita civile e artistica, ma un esempio che viene dalla precarietà dell’esperienza, trasformata in testimonianza."

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