I carnivori tendono all'immobilità,
gli erbivori al moto? Oppure: le bestie si muovono in proporzione
inversa alle dimensioni?
Ai due estremi: le cavie peruviane, in
agitazione perpetua nel loro minuscolo universo di paglia e sassi, e
il maestoso cammello, che ci osserva muovendo soltanto la mandibola,
in una rotazione da ingranaggio. Oppure: i suricati, che si azzuffano
in quattro attorno a un guscio d'uovo di struzzo, e l'ippopotamo,
immerso per ore e ore, emergendo di tanto in tanto per starnutire
enormi spruzzi d'acqua fangosa.
Gli erbivori, comunque, si muovono. La
giraffa misura il suo recinto a lenti passi asimmetrici, le zebre si
lanciano tra gli struzzi con piccoli trotti zigzaganti, i gibboni
eseguono complicati esercizi ginnici o si spulciano l'un l'altro con
puntiglio.
Quanto ai carnivori, il lupo e la lince
si sono nascosti a dormire dietro gli arbusti, l'ocelot si cela nei
recessi bui della sua tana di cemento. I leoni mostrano il profilo
intagliato contro il cielo opaco di foschia, le tigri offrono di
scorcio la loro bellezza da arazzi, i corpi enormi immobili nel
torpore. I ghepardi sono macchie di giallo violento nell'ombra.
Poi, il puma. Testa di gatto montata su
corpo da leonessa, percorre il semiperimetro della gabbia: prima il
tronco sospeso poi lo scalino di roccia ad esso perpendicolare, e poi
indietro, e poi ancora avanti. Senza sosta, senza mai rallentare né
accelerare. È così la mattina, è ancora così quando ripassiamo,
nel primo pomeriggio.
Poi, all'improvviso, si ferma; siede di
fronte a noi. Immobilità araldica. Fissa il vetro, anzi sembra
fissare proprio noi, dritto negli occhi. Mi chiedo che cosa veda; se
ci veda. Spazza la polvere con l'estremità della coda, ma per il
resto sembra non respirare nemmeno.
Ci allontaniamo in punta di piedi.
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