La chiocciola, sì. Quella bestiolina che, secondo il Giusti, “unisce il merito alla modestia”. Il cui guscio striato e spiraliforme campeggia in tanti libri per bambini.
Però è tutta questione di proporzioni. Vista da vicino, la chiocciola ha una tremenda lingua rasposa, la “radula”. Corteggia le sue simili infilzando loro uno stiletto calcareo nelle mucose. Poi si accoppia, feconda e viene fecondata, perché è ermafrodita.
Capitava di trovarle in letargo, in qualche anfratto del muro, con il guscio tappato da una sottile membrana, che crepitava sotto la punta del dito. Se le si beccava a passeggio, per ucciderle bastava cospargerle di sale finché la pelle, disidratata, si accartocciava.
Le “ciambrachelle” (“ciambracune” se erano grosse), mio padre le raccoglieva nei campi, dove dopo la pioggia uscivano per accalcavarsi sui fusti spinosi dei cardi. Poi le metteva a spurgare in una pentola piena di farina (sollevavo il coperchio per guardare quell'inferno di corpi striscianti, bave ed escrementi) e infine le cucinava stufate con la menta, oppure con il pomodoro.
Con uno stuzzicadenti si estraeva l'animale dal guscio, dove si era rintanato per sfuggire al calore. Veniva fuori tutto rattrappito, ma ancora attaccato ai visceri, avvolti in una spiralina nera che si doveva mordere e sputare via, per mangiare solo la piccola callosità del corpo.
2 commenti:
bellissima.
sto costruendo una serie di testi che potrebbero andare a formare il nucleo di un prossimo libro (o prossimo-prossimo, considerando che ne ho almeno un altro paio in lista d'attesa, come ben sai...)
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