Sai se mi chiedessi quali sono
i ricordi che conservo con maggior cura
non ti risponderei i grandi momenti
i climax della narrazione
quelli sono consegnati allo strato
più superficiale della memoria
nitidi e scivolosi come un calco
in vetroresina. Ci sono piuttosto
attimi senza alcuna importanza
che riemergono a volte con un'intensità
lancinante – immagina una scheggia
sottopelle
che arrivi all'improvviso a sfiorare un
nervo.
Di tutta Amsterdam ad esempio ricordo
gli occhi di una donna intravisti per
un solo istante
al di là di una vetrina – serissimi
nonostante lei fosse praticamente nuda
e di tutta New York conservo l'odore
di certe bancarelle agli angoli di
Broadway
il fumo grasso del soul food
mescolato
all'asfalto caldo e
a un retrogusto
che non ho mai più
ritrovato altrove
e Roma per me è
l'angolo sporco dietro
la Stazione Termini
dove un arco in travertino
confina con la
saracinesca di un meccanico.
Per questo è
strano che di te invece
io ricordi tutto –
ogni gesto ogni parola
ogni passo in
direzione opposta o parallela
con una precisione
spietata.
Del resto te l'ho
già detto: ogni colloquio
è la battuta
ulteriore di un dialogo mai
interrotto – e
ogni volta che supero
un nuovo spigolo
nei tuoi pensieri
mi accorgo che la
scoperta non è altro
che riconoscimento.
Ed è strano
soprattutto perché
è così poco il tempo
che ho potuto
passarti accanto
eppure è così
vasto il ricordo
da occupare fino ai
margini del campo visivo
così come i tuoi
occhi invadono la scena
quando ci guardo
dentro.
(E ora dovrei
concludere con dei saluti
presumo – o con
un qualche finale
d'effetto. Non ci
riesco. Non posso
davvero concepire
alcun punto fermo).
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