I.
Guardiamo: la schiena il vestito
come si piega
sulla pancia, controlli ora le
cosce se si vedono, i collant tesi
i capelli se reggono sulla
te di questo mese; poi le labbra
serrate mentre passi il rossetto
con gli occhi sgranati,
prima chiaro e poi più intenso -
inutile nascondersi, non voglio
io voglio essere guardata.
II.
La faccia la faccia come portarla
di notte, tornando, e non potere
cambiare anche quella al mattino -
scolorirne i tratti per
cancellarne il ricordo, bluffare con
il tempo e le foto,
( il grumo di rimmel sulle ciglia che
sbattono contro il vetro, le iridi
capovolte, vedermi
vederci noi la lingua le viscere
riflesse
usurate nel tempo senza
distanza. Noi non vedevamo
- la miopia del mio nulla
intatto, riflesso
in ogni angolo del vetro sporco,
nel diario pubblico-
mentre sui tasti succedeva tutto
negli occhi e la faccia registrava già)
III.
Guardiamo noi ora ancora – io vedo
la distanza, non è
non è quella dall’inizio: ora è fra
la mia faccia di ieri e lo status di
oggi, nel vetro che la restituisce
a scaglie, s’è rotto ieri – tutta
la solitudine è egoismo,
ognuna è una faccia riflessa
sul vetro sporco, un gioco
di abitudini e tagli senza sangue,
noia e crudele eccitazione.
Io voglio essere guardata.
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