RUMINAZIONI - poesia, musica e altro. di Sergio Pasquandrea
sabato 7 luglio 2012
patrie
“Chi trova dolce la propria patria è solo un tenero dilettante. Chi trova dolci tutte le patrie s’è già avviato sulla strada giusta. Ma solo è perfetto chi si sente straniero in ogni luogo”.
Intende dire, per come la vedo io, che le radici ti limitano, chiudono la tua visuale, ti impediscono di aprire lo sguardo verso l'altro. Quando un luogo ti diventa troppo familiare, non lo vedi più. Bisogna essere "fuori", essere un po' "stranieri", per guardare (e capire) davvero. E' lo stesso quando si scrive: l'espressione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, di per sé, non fa la poesia. La poesia diventa tale quando quei pensieri, quei sentimenti diventano non solo tuoi, ma di tutti, e questo lo ottieni solo con il distacco. Oppure, è come quando si suona uno strumento: se sei tutto "dentro" quel che fai, perdi il controllo. Devi riuscire a rimanere dento, ma allo stesso tempo ad ascoltare quel che stai suonando come se lo suonasse un altro. A me, che sono un mediocre dilettante, succede solo in rarissimi casi, ma grandi musicisti hanno descritto questa esperienza di straniamento.
(Poi, ovviamente, c'è anche una lettura metafisico-esistenziale: nessun luogo è veramente nostro, noi siamo pellegrini, e quella di possedere un luogo, una patria, è solo un'illusione. Diventare uomini significa staccarsene. Anche questa è una cosa che sento molto; io non mi sono mai sentito davvero parte di nulla, ho sempre fatto "parte per me stesso", come diceva Dante, ed è una cosa di cui sono estremamente fiero).
Di Davide Rondoni avevo già parlato . Questo è quel che ho trovato, e ognuno giudichi da sé. * * * Bartolomeo Quando anche tu ti fermerai in...
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3 commenti:
no straniero ogni luogo no, a meno che non si intenda che lo si guarda sempre con occh nuovi e curiosi e critici e attenti :)
Intende dire, per come la vedo io, che le radici ti limitano, chiudono la tua visuale, ti impediscono di aprire lo sguardo verso l'altro. Quando un luogo ti diventa troppo familiare, non lo vedi più. Bisogna essere "fuori", essere un po' "stranieri", per guardare (e capire) davvero.
E' lo stesso quando si scrive: l'espressione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, di per sé, non fa la poesia. La poesia diventa tale quando quei pensieri, quei sentimenti diventano non solo tuoi, ma di tutti, e questo lo ottieni solo con il distacco.
Oppure, è come quando si suona uno strumento: se sei tutto "dentro" quel che fai, perdi il controllo. Devi riuscire a rimanere dento, ma allo stesso tempo ad ascoltare quel che stai suonando come se lo suonasse un altro. A me, che sono un mediocre dilettante, succede solo in rarissimi casi, ma grandi musicisti hanno descritto questa esperienza di straniamento.
(Poi, ovviamente, c'è anche una lettura metafisico-esistenziale: nessun luogo è veramente nostro, noi siamo pellegrini, e quella di possedere un luogo, una patria, è solo un'illusione. Diventare uomini significa staccarsene.
Anche questa è una cosa che sento molto; io non mi sono mai sentito davvero parte di nulla, ho sempre fatto "parte per me stesso", come diceva Dante, ed è una cosa di cui sono estremamente fiero).
leggo volentieri la tua mini lezione sul processo creativo, ci può servire a scrivere meno cazzate.
(mi sento solo una parte del tutto, indipendentemente dal luogo in cui mi trovo,gioie dolori spartiti in mille particelle)
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