giovedì 31 marzo 2016

cinque poesie di Gino Scartaghiande

Il mostro semantico; appunti

Solo per te le parole salgono
dal bianco al bianco. Non è
stato tralasciato nulla.
Nemmeno il tuo pianto
di mostro; sei triste stasera,
sai cosa significa?
Questa prima erba che
ti spunta sulle palpebre.
Ci sono vari gradi d’oscurità
e mi culli tra un pianeta e l’altro.


* * *

 
Ci sono vecchi che dormono

Mi fanno ridere gli oceani
coi loro fondali verdi.
Prego di non andartene.
Hai visto non sono proprio
io, ma il più ampio anfratto
dell'universo per riceverti.

Le stelle del tuo sperma
scoppiano dentro di me,
nessuno di noi due
è l'uno o l'altro.
Ci sono vecchi che dormono
alla stazione, per terra.


* * *

 
Puzzeruola

La frattura allo specchio.
E' curioso il mignolo visto
l'altra sera. Curiosa la
testa. Rieccomi con un.
Stavo appunto prendendo
il tè alle cinque.
Geiger, come un geiger
in perlustrazione nei tuoi
cordoni germinali. Cerco
primavera quando l'atomo
si spoglia e poi rivestendosi.


* * *

 
Appena all’inizio

Cara sconoscenza caro essere
disvitale caro disamore
plasmi tutta la materia di cui
sono fatto. Caro Kong mio re
e mio suddito. Caro possesso
dove ci si disperde. É appena
l’inizio di un tempo altro.


* * *

 

I due tempi della poesia

Vedi le rose fiorire.
Rubale. Sali sui muri
e rubale.
Verso i nove anni
in un boschetto di
gelsomini masturbavi
ragazzi. Immagini
del sesso. Cronistoria
di un sarcofago
trasportato da Parigi
a Catania. Vincenzino
si masturba nella
tomba e tu cogli
rose, rosa casta diva
come la spina e il
petalo benvenuta sia
la materia dialettica.



da "Sonetti d'amore per King Kong" (1977)
questi e altri testi li trovate qui

mercoledì 30 marzo 2016

perché tu mi dici?

Dopo tutto quello che è successo
non posso tentare parole pesanti
Qui accanto alla brace il massimo
è procedere di due in due.
La mia pelle riempie il suo spazio
molto lontano dall'origine.
Caro mostro cervello solcato
sedimento di secoli.
Potrei passare la serata intera
fra le scapole e i capezzoli.
Mi sono scottato la bocca
nelle tue braccia sollevate.
Quale lingua parlare nel buio
affondato nella carne profumata?
Ho bisogno di quei cieli chiari
distesi a coperchio sulla pietra.
Per ora bacio il tuo ombelico
gli suggerisco frasi d'amore.

lunedì 28 marzo 2016

una poesia di Seamus Heaney

Nord

Ritornai a una lunga spiaggia
la curva battuta di una baia,
e non trovai che il potere
secolare dell'Atlantico tonante.

Affrontai gli inviti
prosastici dell'Islanda,
le patetiche colonie
della Groenlandia, e d'un tratto

quei favolosi razziatori
di Orkney e di Dublino
misurati dalla ruggine
sulle loro lunghe spade,

quelli nel solido
ventre di navi in pietra,
quelli spezzati e luccicanti
nella ghiaia di torrenti disgelati

erano voci assordate dall'oceano
che mi ammonivano, di nuovo
levate in violenza e epifania.
La lingua natante del drakkar

galleggiava in coscienza tardiva:
diceva il martello di Thor scagliato
per geografia e commercio,
ottusi accoppiamenti e vendette,

gli odi e i dietro-le-spalle
dell'althing, bugie e donne,
spossamenti chiamati pace,
memoria incubante nel sangue versato.

Diceva: “Stenditi
nel cumulo di parole, scava
le spire e i bagliori
del tuo cervello corrucciato.

Componi nel buio.
Aspetta l'aurora boreale
nel lungo assalto
ma niente cascate di luce.

Mantieni gli occhi sgombri
come la bolla del ghiacciolo,
confida in quel nòcciolo prezioso
che le tue mani hanno conosciuto”.


(da “North”, 1975 – traduzione mia)


Nota
In "North", Heaney evoca le memorie mitiche dei Vichinghi che nel Medioevo razziavano le coste della sua natìa Irlanda. Nell'originale, la poesia è tutta tramata di parole d'origine germanica (ovviamente intraducibili in italiano) e contiene numerose allusioni alla cultura nordica.
Islanda e Groenlandia sono ovviamente colonie vichinghe.
Le "navi in pietra" (v. 14) sono le sepolture dei popoli scandinavi, le cui ossa Heaney immagina di vedere "spezzate e luccicanti" nel greto di un fiume.
Il
drakkar (nell'originale, longship) è la tipica nave vichinga, mentre l'althing era l'assemblea dei popoli nordici.
Nell'evocazione di quel mondo barbarico e violento, la critica ha letto anche un'allusione alla guerra civile che in quegli anni insanguinava l'Irlanda del Nord.
"Cumulo di parole" (word-hoard, v. 30) era una locuzione usata nella poesia scaldica per indicare il linguaggio.
Gli ultimi due versi ("trust the feel of what nubbed treasure / your hands have known") sono quasi intraducibili: alla lettera, "fidati della sensazione di qualunque protuberante (nubbed) tesoro / le tue mani abbiano conosciuto" (ma nub significa anche "nocciolo, parte centrale"). Ho cercato di rendere almeno l'idea generale.

domenica 27 marzo 2016

una poesia di Federico García Lorca






per Alfonso Alfonso García-Valdecasas

La luna gira nel cielo
sopra i monti senz'acqua
mentre l'estate semina
rumori di tigre e fiamma.
Al di sopra dei tetti
nervi metallici suonavano.
Vento irsuto veniva
con i belati di lana.
I monti si offrono pieni
di ferite cicatrizzate
o scossi da acuti
cauteri di luci bianche

Tamar stava sognando
uccelli nella sua gola
al suono di cembali freddi
e di cetre lunate.
Il suo nudo sulla gronda,
acuto nord di palma,
chiede neve al suo ventre
e grandine alle sue spalle.
Tamar stava cantando
nuda sulla terrazza.
Tutto intorno ai suoi piedi,
cinque colombe gelate.
Amnon, magro e concreto,
dalla torre la guardava,
pieni gli inguini di spuma
di oscillazioni la barba.
Il suo nudo illuminato
si stendeva sulla terrazza
con un rumore tra i denti
di freccia appena piantata.
Amnon stava guardando
la luna tonda e bassa,
nella luna vide i seni
durissimi di sua sorella.

Amnon alle tre e mezza
si stese sopra il letto.
Tutta l'alcova soffriva
nei suoi occhi pieni d'ali.
La luce, solida, sotterra
villaggi nella sabbia opaca,
o scopre transitorio
corallo di rose e dalie.
Linfa di pozzo oppressa
sboccia silenzio nelle giare.
Sul muschio dei tronchi
il cobra steso canta.
Amnon geme nella tela
freschissima del letto.
Edera del brivido
copre la sua carne bruciata.
Tamar entrò silenziosa
nell'alcova ammutolita,
colore di vena e Danubio,
torbida di orme lontane.
Tamar, cancellami gli occhi
con la tua fissa aurora.
I miei fili di sangue tessono
orli sulla tua gonna.
Lasciami tranquilla, fratello,
sulla spalla i tuoi baci
sono vespe e venticelli
in doppio sciame di flauti.
Tamar, nei tuoi seni alti,
ci sono due pesci che mi chiamano,
e nei polpastrelli delle tue dita
rumore di rosa chiusa.

I cento cavalli del re
nel cortile nitrivano.
Sole nei secchi lottava
con la finezza del pergolato.
Già la prende per i capelli,
le lacera la camicia.
Coralli tiepidi disegnano
ruscelli in biondo mappa.

Oh, che gridi si sentivano
al di sopra delle case!
Che densità di pugnali
e tuniche strappate.
Per scalinate tristi
gli schiavi salgono e scendono.
Stantuffi e cosce giocano
sotto le nubi immobili.
Tutto intoro a Tamar
gridano vergini gitane
altre raccolgono le gocce
del suo fiore martirizzato.
Panni bianchi si arrossano
nelle alcove serrate.
Rumori d'aurora tiepida
pampani e pesci cambiano.

Stupratore infuriato,
fugge Amnon con la sua giumenta.
Negri gli scagliano frecce
dalle mura e dalle torri.
E quando i quattro zoccoli
erano quattro risonanze,
con le forbici David tagliò
le corde dell'arpa.

Federico García Lorca (dal "Romancero gitano")
traduzione mia - l'originale è qui

sabato 26 marzo 2016

riflessioni per il sabato santo

Er cimiterio de la Morte

Come tornai da la Madon-dell’-Orto
co cquer pizzicarolo de la scesta,
agnede poi cor mannataro storto
ar Cimiterio suo che cc’è la festa.
             
Ner guardà cqueli schertri io me sò accorto
d’una gran cosa, e sta gran cosa è cquesta:
che ll’omo vivo come ll’omo morto
ha una testa de morto in de la testa.
             
E ho scuperto accusí cche o bbelli, o bbrutti,
o ppréncipi, o vvassalli, o mmonziggnori,
sta testa che ddich’io sce ll’hanno tutti.
             
Duncue, ar monno, e li bboni e li cattivi,
li matti, li somari e li dottori
sò stati morti prima d’èsse vivi.

Roma, 10 dicembre 1832

(Giuseppe Gioacchino Belli)

martedì 22 marzo 2016

sequenza di marzo

Davanti alla mia scuola gli albicocchi
sono in fiore. La gente
muore – lontano lontano da qui.
La luce troppo forte mi ferisce
gli occhi. Una ragazza
dà l'ultimo tiro alla sigaretta.
Forse non capisce di essere viva
corre – ha fretta. È tardi
infatti – anche per me.
Che io sopravviva ancora chissà quanto
non è giusto – senz'altro.
Però davvero – non ho altro da fare
se non vivere. E in fondo non è poco.
Nel fusto su cui appoggio
la schiena sta ricominciando a scorrere
la linfa. L'aria è piena
di odori che mi rendono intrattabile.
La pressione è instabile ma per ora
il tempo pare regga.
In tutti i pori mi entra l'aria tiepida.

lunedì 21 marzo 2016

cinque poesie di Sandro Penna

Deserto è il fiume. E tu lo sai che basta
ora con le solari prodezze di ieri.
Bacio nelle tue ascelle, umidi, fieri,
gli odori di un'estate che si guasta. 


* * *

(a Eugenio Montale)

La festa verso l'imbrunire vado
in direzione opposta della folla
che allegra e svelta sorte dallo stadio.
Io non guardo nessuno e guardo tutti.
Un sorriso raccolgo ogni tanto.
Più raramente un festoso saluto.

Ed io non mi ricordo più chi sono.
Allora di morire mi dispiace.
Di morire mi pare troppo ingiusto.
Anche se non ricordo più chi sono.

* * *

Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d’altre cose.
Le altre cose son tutte noiose
io non posso cantarvi Opere Pie.

* * *

È l’ora in cui si baciano i marmocchi
assonati sui caldi ginocchi.
Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi
inutilmente. Io, mostro da niente.

* * *

È pur dolce il ritrovarsi
per contrada sconosciuta.
Un ragazzo con la tuta
ora passa accanto a te.

Tu ne pensi alla sua vita
- a quel desco che l'aspetta.
E la stanca bicicletta
ch'egli posa accanto a sé.

Ma tu resti sulla strada
sconosciuta ed infinita.
Tu non chiedi alla tua vita
che restare ormai com'è.

domenica 20 marzo 2016

impressioni di marzo

Oggi è esplosa la primavera
tutta d'un colpo dopo la pioggia
e quel sommovimento di odori
quel prudere della carne sotto la lana
è la stagione dei colpi di freddo
troppo ottimismo nelle braccia scoperte
negli occhi storditi dall'ombra
e ora questa luce in agguato
diciotto gradi leggo sul cruscotto
da ogni lato mi assaltano le percezioni
l'odore dei fiori che ho sempre odiato
e questa cosa che non so nominare
che mi si allarga attraverso la gola
fortuna il crepuscolo il vento freddo
è ora di stringersi nella giacca.

sabato 19 marzo 2016

variazioni sull'attesa


Ieri era freddo nonostante il sole
oggi è tornata la pioggia.
Camminando per Perugia
ho contato gli acquisti e le perdite.
Le parole costano sempre più fatica
ognuna va estratta come una scheggia.
Però poi mi sono fermato a lungo
davanti a tutto quel nero mi sentivo bene.
Questo posso raccontarti
c'è poco di intero lo so.
Anche tu mi ritorni così
un dettaglio alla volta.
La curva del collo per esempio
mentre infili una matita fra i capelli.
O uno scatto degli occhi
mentre ti parlavo di bellezza.
La prima volta che ti ho riconosciuta
fra un angolo retto e l'altro.
O una fotografia in cui non c'ero io
solo un vasto lucido verde.
Non posso combattere le distanze
solo sperare di rivederti.
Ho poco fiato rimasto
basta appena per concludere.

giovedì 17 marzo 2016

idea per un racconto (romanzo?) che non scriverò mai


Un uomo arrivato a (quaranta? quarantacinque? cinquanta?) anni, nel pieno della salute, del successo e del benessere economico, decide di rinunciare a tutto ciò che ha. Non per una conversione religiosa né per altro motivo riconoscibile, semplicemente comincia a privarsi, una per volta, delle cose che ha più care.
La moglie, i figli, il lavoro, la casa, i libri, i dischi, gli amici. Per rimanere, infine, solo davanti al nulla, né felice né infelice, semplicemente vuoto.

(Non lo scriverò mai, perché per scriverlo servirebbe un Kawabata o un Natsume Soseki, e mi pare evidente che io non lo sono. A me verrebbe fuori una cacatina.)

(Se qualcuno vuole raccogliere l'idea e svilupparla, è il benvenuto.)

martedì 15 marzo 2016

i ponteggi

I muratori, quando alzano un edificio,
collaudano con cura i ponteggi,

si accertano che le assi non scivolino nei punti critici,
fissano tutte le scale, stringono i bulloni nei giunti.

Eppure tutto sarà smontato a fine lavoro
lasciando in vista muri di pietra stabile e sicura.

Perciò, mia cara, se qualche volta sembra
che fra me e te i vecchi ponti scricchiolino

niente paura. Possiamo lasciar cadere le impalcature
sicuri di aver costruito il nostro muro.

(Seamus Heaney - traduzione mia)

domenica 13 marzo 2016

soprattutto il silenzio

Smetto di scrivere
perché scrivere è facile
le parole hanno smussato il filo
e il parto non è più doloroso.

Smetto di scrivere
ascolto piuttosto
soprattutto il silenzio
e questo vociare
sordo che fa la mia epoca

dietro l'aria vuota.

sabato 12 marzo 2016

locusta migratoria

La locusta in fondo aveva le sue ragioni.
In questo marzo gelido, la cappa del camino era un rifugio ideale, e immagino che in quel buio polveroso avrà compiuto in santa pace le sue mute. Non poteva sapere – né potevamo saperlo noi – che proprio oggi, dopo tanto, avremmo deciso di accendere il fuoco, e che lei avvolta dal fumo, presa dal panico sarebbe precipitata a picco, avrebbe aderito ai pantaloni, e una volta scacciata di lì, dopo numerosi impatti ciechi contro le pareti, un preciso colpo di scopa l'avrebbe spedita dritta contro la ringhiera del balcone, da dove, con un frullare secco e legnoso, avrebbe infine preso il volo nell'aria bianca, senza più inquietarci con il suo lungo impassibile muso di cavallo e con i complicati, multipli, indecifrabili movimenti delle lunghe zampe puntute, tutto quello spreco di articolazioni chissà poi per cosa.

venerdì 11 marzo 2016

ars poetica


N’avaste mmenà a sumende
ndanne bbije
a scutulià i chiancune
capà i ramagliette.
Ha spettà ca c’è bbuttète
è sciuta prena
ha dduwenà u iurne d’a recote
e pure ccusì
quanda vote vè iarie
ha jittète a fatije.


Non basta spargere il seme / è allora che cominci / a scuotere le pietre / scegliere i germogli. / Devi aspettare che si gonfi / che diventi gravida / indovinare il giorno del raccolto / e anche così / quante volte viene fuori aspra / hai sprecato il lavoro.

mercoledì 9 marzo 2016

variazioni sul tema

Senza un perché


La mimosa fiore elettrico
è fiorita da tempo
dai primi di febbraio direi

anche il Prunus alla finestra
ha i getti color ruggine delle foglie
miste a un brulichio di rosa

una coppia di passeri ci si è posata
con le piume gonfie di pioggia
spilluccavano una delle gemme nuove

poi sono sfrecciati via senza un perché
non fa nemmeno troppo freddo
e l’aria ha un odore strano.

* * *

Haiku

Due passeri sul pruno
gonfi di pioggia.
Primo rosa di gemme. 

mercoledì 2 marzo 2016

weekend piacentino


sempre lo stesso pomeriggio...