sabato 31 maggio 2014

appunti di lavoro




"Malgrado la distanza cronologica dal Romanticismo, non è azzardato sostenere che ancora oggi, nella mentalità diffusa, la lirica continui a rappresentare la poesia per antonomasia. L’espressione appassionata di un io esplicito o implicito – se questo è ciò che intendiamo per lirica – continua a essere il parametro di riferimento, il sogno e l’obbiettivo della maggior parte dei lettori e, probabilmente, degli autori di poesia odierni. Si tratta, come è noto, di un’eredità romantica, che ribaltando le gerarchie neoclassiche stabilì che l’espressione breve, rapsodica, frammentaria di un soggetto fosse il vertice dell’arte poetica, degradando invece a costruzioni retoriche le forme lunghe che per secoli erano state considerate l’apice della perfezione. [...] Le aree di scrittura eredi dirette del Romanticismo, pur con vari filtri, come l’Ermetismo e il Neo-orfismo, hanno accentuato il carattere frammentario, involuto e rapsodico dell’espressione poetica, pur accogliendo alcune posizioni novecentesche, come la cancellazione di un io poetante esplicito nel caso di alcuni neo-orfici. Dice molto, comunque, il fatto che queste due “correnti” vengano considerate dalla critica come centrali nel Novecento italiano, malgrado (o forse grazie a) l’evidente epigonismo manieristico della seconda. [...]
La poesia italiana degli anni Sessanta e Settanta si è sviluppata sopra un fondo teorico novecentistico, a volte inconsapevole, secondo cui il linguaggio non è in grado di rappresentare il mondo (qualunque cosa significhino linguaggio e mondo, interiore o esteriore). Al mondo si può solo alludere ironicamente, restando chiusi nella prigione della lingua (secondo le neo-avanguardie), oppure si può alludervi tragicamente, attraverso un linguaggio criptico sempre al limite dell’incomprensibile e del gratuito (secondo i neo-orfici), oppure si può alludervi frammentariamente, per sprazzi disarticolati (secondo la Linea Lombarda). Escluso dalla poesia, perché ritenuto impoetico o intrinsecamente impossibile, rimase qualsiasi discorso compiuto, con un capo e una coda riconoscibili, articolato con chiarezza sintattica e argomentativa. Una modalità di questo tipo fu ammessa, tutt’al più, per la polemica politica, come nei versi del Pasolini più ideologizzato. Va detto, naturalmente, che diverse esperienze importanti rimasero estranee a queste idee – basti ricordare la produzione coeva di Bertolucci e Luzi o la poesia in dialetto. Oggi la situazione è molto diversa, aperta senza inibizioni ai modi di scrittura più diversi. Non si può negare, tuttavia, che l’ideologia di quel passato recente sia dura da smaltire, non solo per il fatto che i “maestri” di allora hanno provveduto e provvedono a riempire di loro seguaci gli ambienti editoriali e letterari. Il modo migliore per sfuggirvi, comunque, resta quello di varcare i confini nazionali, studiando le lingue straniere e scoprendo che i dogmi della nostra tradizione recente semplicemente non esistono. In Inghilterra e in Polonia, in Irlanda e in Scandinavia, in Nord America e nei Caraibi si sono scritte e si scrivono poesie di generi che in Italia erano stati dichiarati impossibili e fuori tempo. Che non solo sono possibili, come dimostrano Heaney e Strand, Herbert e Tranströmer, Walcott e Tomlinson e molti altri, ma sono anche piene del loro tempo più di tanto modernariato da mercatino delle aggiornatissime poetiche dei nostri anni Sessanta e Settanta."

(Edoardo Zuccato - grassetti miei)


leggi il testo completo qui

venerdì 30 maggio 2014

cloze



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Un calo del fiato ci ha costretti
a inserire un'interpunzione
ma lo sai anche tu che il discorso
è solamente sospeso
che non esiste punto fermo in grado
di spezzare la sintassi
e dunque registrala un'intonazione
tronca una di quelle sfumature
inaccessibili allo scritto
evidenzia lo spazio da colmare
tra la mia bocca e la tua pelle.


nell'immagine, un disegno mio: "Nudo sdraiato, con collana"
(rapidograph e pennarelli, 2000 circa)

giovedì 29 maggio 2014

quasi perduto




Ein Zeichen sind wir, deutungslos,
Schmerzlos sind wir und haben fast
Die Sprache in der Fremde verloren.


"Noi siamo un segno non significante,
indolore, quasi abbiamo perduto
nell'esilio il linguaggio".

Friedrich Hölderlin, "Mnemosyne"




nell'immagine, un disegno mio: "Into the Light" (pennarelli, 2014)

mercoledì 28 maggio 2014

roba mia su "Jazz nel pomeriggio"



Si parla di un unsung hero: il grande Steve Lacy, di cui quest'anno ricorre il decennale della morte.
Clicca qui per leggere.

(Per inciso, detesto gli anniversari e le ricorrenze, ma se servono a riportare sotto la luce dei riflettori personalità ingiustamente trascurate, ben vengano).

martedì 27 maggio 2014

lampi - 249


Prima o poi arriverò ad accettare il fatto che la marginalità non è né una scelta, né un frutto delle circostanze.
E' un destino.

lunedì 26 maggio 2014

afterthoughts



One day I will find the right words,
and they will be simple.
(Jack Kerouac)


Scrivo dopo averti parlato
dopo averti soprattutto ascoltato.
Scrivo senza limiti di sillabe
con una corda delle più profonde
ancora in leggera vibrazione.
Scrivo ciò che comunque
non potrei in nessun caso dire
scrivo per rimetterti in ordine
una ciocca di capelli.
Scrivo dopo il niente e dopo il qualcosa
celebro l'assenza
e il chiasmo.
Scrivo per allungare una mano nel vuoto
e per cercare le parole più semplici.

domenica 25 maggio 2014

cronache familiari: all'armi!


 - Mamma. Mamma! Mamma!! Maaaamma!! MAAAMMA!! MAAAAAAAMMA!!!
- Santo cielo, Lorenzo, che c'è?
- In televitione cominciano i Puffi!!

sabato 24 maggio 2014

accostamenti sinestetici




"La realtà mi stanca, la realtà è un muro di volti".

(Anna Maria Ortese)










nell'immagine: un disegno di Andrea Pazienza (da "Zanardi medievale")

venerdì 23 maggio 2014

frontiera





Davvero vorrei essere capace
di tracciare i confini:
dove finisce il tuo respiro e inizia
la mia fame – il crinale impercettibile
fra queste mie parole
e il versante ripido dei tuoi fianchi.
Però c'è sempre un nodo
che non si smaglia – il groppo degli odori
che mi irretisce. Per questo bisogna
eliminare qualunque barriera
che impedisca un'analisi accurata.
Ogni dettaglio ha la sua rilevanza:
adesso per esempio
mi paiono essenziali le clavicole
gli attimi in cui affiorano
sono un bivio importante
crocevia per le mani
e per la bocca – forse è proprio qui
la soluzione o almeno
qui sì vale la pena di cercarla.

giovedì 22 maggio 2014

lampi - 248


In fila al casello autostradale. Una graziosa uccellina è appollaiata su un filo elettrico. Due altrettanto graziosi maschietti sono posati su un altro filo, poco più su, e si alternano a salirle in groppa. Almeno, la distribuzione dei sessi dovrebbe essere questa. Comunque, si divertono, e nessuno sembra prendersela troppo.
Poco più avanti, lungo la tangenziale, una macchina è ferma a bordo strada. Le due
donnine si girano, si piegano a novanta gradi, alzano la gonna e mostrano la merce, disinvoltamente.

mercoledì 21 maggio 2014

apologhetto



C'è stato un periodo, subito dopo la laurea, in cui ho provato a fare il piazzista. Piazzista di libri, specifichiamo.
Avevo trovato sul giornale un annuncio in cui si cercavano venditori per l'Einaudi. Mi presentai e feci il colloquio. Il tizio non sembrava molto convinto (e i fatti gli diedero ragione), ma decise di farmi provare comunque.
Dovevo chiamare a casa la gente che aveva dato il proprio nominativo, fissare un appuntamento, andare lì con tanto di catalogo e convincerli a comprare qualcosa. Oppure inseguire insegnanti di scuola media e di liceo per proporre di adottare gli ultimi testi scolastici o di comprare enciclopedie e manuali per le loro biblioteche.
Ho resistito un mesetto scarso, durante il quale non ho venduto un solo libro, e anzi mi vergognavo moltissimo mentre provavo a farlo. In compenso, me ne sono comprati una quantità di tasca mia. Ero, in pratica, il mio miglior cliente.
Lì, ho capito che quello non era il mio mestiere.

martedì 20 maggio 2014

io voglio essere guardata



I.
Guardiamo: la schiena il vestito
come si piega
sulla pancia, controlli ora le
cosce se si vedono, i collant tesi
i capelli se reggono sulla
te di questo mese; poi le labbra
serrate mentre passi il rossetto
con gli occhi sgranati,
prima chiaro e poi più intenso -
inutile nascondersi, non voglio
io voglio essere guardata.

II.
La faccia la faccia come portarla
di notte, tornando, e non potere
cambiare anche quella al mattino -
scolorirne i tratti per
cancellarne il ricordo, bluffare con
il tempo e le foto,

( il grumo di rimmel sulle ciglia che
sbattono contro il vetro, le iridi
capovolte, vedermi
vederci noi la lingua le viscere
riflesse
usurate nel tempo senza
distanza. Noi non vedevamo
- la miopia del mio nulla
intatto, riflesso
in ogni angolo del vetro sporco,
nel diario pubblico-
mentre sui tasti succedeva tutto
negli occhi e la faccia registrava già)

III.
Guardiamo noi ora ancora – io vedo
la distanza, non è
non è quella dall’inizio: ora è fra
la mia faccia di ieri e lo status di
oggi, nel vetro che la restituisce
a scaglie, s’è rotto ieri – tutta
la solitudine è egoismo,
ognuna è una faccia riflessa
sul vetro sporco, un gioco
di abitudini e tagli senza sangue,
noia e crudele eccitazione.

Io voglio essere guardata.


lunedì 19 maggio 2014

cronache familiari: essere e tempo



- Mamma, che ole tono?
- Le otto meno un quarto.
- Petté?

domenica 18 maggio 2014

lampi - 247


"Ti ho amata per distrazione".

sabato 17 maggio 2014

viene la prima




«Oh se tu capissi:
chi soffre
chi soffre non è profondo».
Sobborghi di Milano. Estate. Ormai
c’è poca acqua nel fiume, l’edicola è chiusa.
«Cambia, non aspettare più».
Vicino al muro c’è solo qualche macchina.
Non passa nessuno. Restiamo seduti
sopra il parapetto. «Forse puoi ancora
diventare solo, puoi
ancora sentire senza pagare, puoi entrare
in una profondità che non
commemora: non aspettare nessuno
non aspettarmi, se soffro, non aspettarmi».
E fissiamo l’acqua scura, questo poco vento
che la muove
e le dà piccole venature, come un legno.
Mi tocca il viso.
«Quando uscirai, quando non avrai
alternative? Non aggrapparti, accetta
accetta
di perdere qualcosa».

Milo De Angelis

venerdì 16 maggio 2014

cronache familiari: HR Management



"Senti mamma, ma Babbo Natale è grasso, no? Allora potrebbe fare così: invece di passare per la cappa del camino, potrebbe chiamare la Befana, lei si mette sotto il caminetto, lui butta giù i regali e lei li porta sotto l'albero".

(Elena, 6 anni e mezzo, un futuro nella gestione delle risorse umane)

giovedì 15 maggio 2014

cronache familiari: metrica (2)



"Lorenzo, ma quant'è buona questa torta che ha fatto la mamma?"
"Un chilometlo!"

mercoledì 14 maggio 2014

cronache scolastiche: ornitologia



"E questa è la Camera degli Sposi, a Palazzo Gonzaga. Quello che vede è il cosiddetto 'oculo', che Mantegna ha dipinto sul soffitto".
"Prof, posso fare una domanda?"
"Dimmi."
"Perché in mezzo agli angeli c'è un tacchino?"

martedì 13 maggio 2014

schiusa



La rondine mi esce dal petto, scompare nell'aria...
(Anna Maria Farabbi)


Il tuo ricordo mi perfora il petto
prima del volo
sta raccogliendo le forze

ha attraversato il pentagramma
delle costole
e mi ha aperto una nuova bocca

posso perfino saggiarne il fondo
è lì che ha covato
che ha addensato a lungo l'albume

com'è strano pensare che adesso
sei tutta qui
parola dalle penne ancora fradice

alla fine del viaggio le tue mani
dovranno misurare
il suo respiro perché è quella la chiave

ma ora basta ha aperto gli occhi
questa parola
e non mi appartiene più – è tua ormai.

lunedì 12 maggio 2014

cronache scolastiche: mascolinità postmoderne



"Ma lo sai che i giornali distribuiti a scuola sono per voi? Perché lo lasci sempre sotto il banco? Portalo a casa..."
"Prof, ma se sull'autobus me vedono che leggo 'l giornale, me pijano pe' frocio!"


(riportata da un collega che insegnava in un ITIS)

domenica 11 maggio 2014

cronache familiari: metrica



"Uffa, mamma! Quetto coto peta ammeno cinque chilometli"

sabato 10 maggio 2014

la bellezza lasciata nei fossi




(dedicato a Ele, che non ama il suo dialetto)


Sabat

Quant a vegh, e’ sàbat,
al dòni d’una zerta etè
ch’a l’scapa da la paruchira
cun la mesinpiga
e la faza inrusida,
pr’andè a custodì
oman, fiul, vsen, véc,
e int j occ
la strachèzza;
o al furstiri ch’a l’camena
drì i marid a testa basa
e a testa basa nanca da par sé,
u’m ciapa dal volti una tenerezza
e una voja ad pianz ed ad rugiè
par tot al carèzi, al brazedi, i bis
ch’a n’avan avù o putù cmandè,
par la blèzza lasèda int i fos
cunpagna fiur saibedgh
impasì,
sott e’ sol ch’u s’ha carsù
e ch’u s’vleva a testa dretta
e a occ avirt.

Laura Turci 
(da Al carvaj, Il Ponte Vecchio, 2006)


* * *


Sabato

Quando vedo, il sabato,
le donne di una certa età
che escono dalla parrucchiera
con la messinpiega
e il viso arrossato,
per andare a custodire
uomini, figli, vicini, vecchi,
e negli occhi
la stanchezza;
o le straniere
che camminano dietro ai mariti
a testa bassa
e a testa bassa anche da sole,
mi prende a volte una tenerezza
e una voglia di piangere e di gridare
per tutte le carezze, gli abbracci, i baci
che non abbiamo avuto o potuto chiedere,
per la bellezza lasciata nei fossi
come fiori selvatici
appassiti,
sotto il sole che ci ha cresciute
e che ci voleva a testa alta
e ad occhi aperti.

venerdì 9 maggio 2014

cronache familiari: e mo?



"Mamma, che cot'è la vita?"

giovedì 8 maggio 2014

"what can I possibly say?"




Qui – da dove ti scrivo
ho rinunciato a qualunque lusinga.
Ho zittito la luce
ho cancellato il piano
d'appoggio ho laccato il legno di un bianco
quasi repulsivo. E tutto perché
si percepisse meglio
quell'unico dolcissimo sapore
quella scaglia che dura
così poco che ustiona le papille.
Un'ascesi crudele è necessaria
solo così si ottengono
questi occhi levigati dall'attesa.
C'è bisogno di urtare
gli spigoli ispessire
la pelle. Arriverà
il tempo a dissigillare le labbra
ma dovremo trovarci
nel punto giusto della traiettoria
con i muscoli tesi
la mente affilata.

mercoledì 7 maggio 2014

il ritorno dell'orso - esercizio di traduzione (4/seconda parte)



(le puntate precedenti: 1, 2, 3, 4.1)

Poi arrivò il giorno. Uomo fin troppo fornito di talenti sviluppati a metà, Jones aveva sempre strimpellato uno o due strumenti, e una volta tirò fuori il suo vecchio clarinetto metallico e lo suonò con insistenza per uno o due pomeriggi all'orso in via di sviluppo. Suonò un po' di Sousa, una specie di blues, un quasi-klezmer, un'impressione di musica da danza del ventre, un sacco di spizzichi di questo e di quello che conosceva. Forse ti posso insegnare a ballare, gli disse. Suono piuttosto bene, vero? Nonostante qualche occasionale fischio e squittio? L'ancia è una rottura di palle da controllare certe volte. Forse è questo che possiamo fare noi due da grandi. Io suonerò, tu ballerai, ci guadagneremo il pane e ce ne andremo in pensione in campagna come due gran signori. Che ne dici? So che sembra uno scherzo, ma come sarebbe se fosse un vero progetto di vita? Pensi che potrei insegnarti a suonare con me? Perché, amico, sono stufo di servire ai tavoli. Te lo dico, orso, io ho un cuore da artista. L'ho sempre avuto. Jones suonò un altro mozzicone di brano sul clarinetto e terminò il fraseggio su un acuto interrogativo. Che ne pensi? Che ne pensi davvero?
Il cucciolo d'orso si alzò sulle zampe posteriori, barcollò fino a Jones, gli strappò lo strumento dalle mani e disse, “Penso che se devo sentirti torturare questo povero oggetto per altri cinque minuti finisce che impazzisco”.
Jones boccheggiò e fu sul punto di cadere. “Acc”, disse.
“Vuoi dirmi che non l'avevi mai capito?”, gli chiese l'Orso, esaminando tranquillamente l'ancia del clarinetto.
“C'erano stati degli indizi”, fu tutto ciò che Jones riuscì a dire con la gola strozzata. Era la conversazione più strana che avesse mai avuto, e non sapeva quale tono adottare. La civile indignazione chiaramente non stava funzionando. Rimescolò il suo mazzo di ruoli e di voci e non trovò una carta da giocare. “Indizi”, ripetè in una voce che riconobbe a malapena come la sua.
“Già”, disse l'Orso. “Ne ho seminati un po' per te ma tu sembravi un tantino, ehm, tardo a coglierli”.
“Un tantino cosa?” disse Jones, sbalordito per l'insulto, l'offesa, l'affronto alla sua...
So che è un grosso salto concettuale e così via ma pensavo che tu fossi un po', come dire, duro di comprendonio, e stavo per lasciar perdere. Voglio dire, forse non eri all'altezza”.
Oh grazie mille”.
Ma il clarinetto è stata l'ultima goccia”, disse l'Orso. “Dovevi essere fermato. Ed eccoci qui, felici e contenti”, parafrasò uno dei dischi di Lord Buckley di Jones, rifacendone la voce, “vero o no?
C-che cosa sei tu?”, protestò assurdamente Jones, con la mano che gli fluttuava alla fine di un ridicolo braccio. “Una specie di esperto di clarinetti?”
Esperto sarebbe una parola troppo forte”, disse l'Orso. Si inumidì l'estremità del grugno, poi suonò le battute iniziali del clarinetto nel quintetto K.581 di Mozart, fino al primo arpeggio, con il ritmo sottolineato graziosamente e il respiro ben controllato ma con qualche incoerenza nella produzione sonora fra i diversi registri dello strumento: Mozart non era semplice come sembrava. Alla fine dell'arpeggio proseguì con “Au Privave” di Charlie Parker e improvvisò due giri niente male prima di abbassare il clarinetto dalle labbra distese color nero e porpora. “Quando tu esci a fare il cameriere sposto il divano e strappo le tende per dare un tocco di realismo. Ma per la maggior parte del tempo leggo libri o mi esercito sullo strumento. Preferirei un sax, sai. Probabilmente un contralto sarebbe più adatto a me, ma è difficile dirlo senza provarne uno”.
Ti sei esercitato mentre io ero fuori”, riuscì a dire coerentemente Jones con la sua voce.
Te l'ho appena detto”.
Mi sa che ho bisogno di un drink”, disse Jones.
Siediti e te ne preparo uno. C'è rimasto abbastanza scotch per farne uno secco. Il solito mezzo cubetto di ghiaccio e uno spruzzo di soda? Il whisky è già annacquato. Ogni tanto ne prendo un po' e rimetto la differenza dal rubinetto. Non mi sembra che tu ne sia mai accorto. Non sei un grande intenditore, a quanto pare. Sei sicuro di volere un drink? Non hai una costituzione molto forte e questa roba non va bene per te”.
Non molto più di un cucciolo, aveva pensato di dire Jones ma rimase in silenzio, e già questa cazzo di arroganza.
Guarda”, disse l'Orso quando tornò con il drink, come se avesse letto nel pensiero di Jones, “se non mi piacessi non starei a parlare con te, per prima cosa. Anch'io sono nervoso al riguardo. Sto cercando di compensare un po' troppo. Non sono tanto sicuro di me come sembro. Anche per me è un grosso salto. Una rottura delle tradizioni familiari. Voglio dire, è ovvio che dal punto di vista pratico sei un cazzo di casino, ma hai un cuore buono, ed è a questo che reagisco”.
Io ti piaccio?”
Perché non dovrei? Sei uno dei pochi veri gentiluomini nella razza umana”.
Lo sono?”
Fidati. Per generazioni la mia gente ha conosciuto ogni sorta di crudeltà umana. Tu non sei uno di Loro. Sei un brav'uomo. Non faresti male a una mosca".
Sono un brav'uomo”, ripetè Jones in una sorta di stupore.
Bevici sopra e abituati all'idea. Adesso sei L'Uomo Che Possiede Un Orso Parlante”.
Possedere? Come potrei mai possederti?”
Come volevasi dimostrare”, gli disse l'Orso, “ma la tua vita è comunque decisa. Perciò dimmi, che cosa facciamo adesso?”
Jones si sveglio anni dopo sul divano, guardando il libro non letto sul grembo. Che libro è questo? Perché sento così potentemente il tuo odore oggi? Mi sono già seduto su questo divano. Sei ancora da qualche parte lì fuori? È possibile che tu sia ancora vivo? È possibile che tu stia cercando di dirmi qualcosa?
Signore benedetto, si rese conto, sono in ritardo per il lavoro.


martedì 6 maggio 2014

il ritorno dell'orso - esercizio di traduzione (4/prima parte)



Jones si strofinò con l'asciugamano, ma nuove gocce di sudore gli spuntarono sulla fronte: più tardi, lo sapeva, sarebbero gocciolate giù e l'avrebbero accecato. Che senso c'era in un qualsiasi sforzo, un qualsiasi movimento, una qualsiasi flebile contrazione della volontà? Jones sentì la complessa geometria della sua depressione venirgli incontro, la gabbia invisibile che lo teneva a pattugliare la sua porzione d'aria sotto quale segreto comando? Ammiccò alla sua immagine nello specchio e la sua faccia gli restituì lo sguardo, anonima e di aspetto non molto sano nel vetro. Una faccia di troppo al mondo, pensò. Una faccia che ben presto avrebbe potuto non vedere. Colui che fece la mosca fece anche te?
Doveva sbrigarsi o avrebbe fatto tardi per il lavoro al bar e Johnny Coles gli avrebbe fatto passare una di quelle sue giornatine pesanti tutte speciali. Doveva darsi una mossa.
Ma si ritrovò ancora stravaccato sul divano oggi così fragrante di Orso, lo stesso libro non letto aperto in grembo. Jones ricordò il suo cucciolo d'orso di tanti anni prima che sedeva sul pavimento mentre un disco suonava, le spalle arrotondate da quella che sembrava quasi concentrazione umana come se, Jones pensava allora, quella cosa si stesso dando la stessa forma della musica. Anche prima che avesse un qualunque accenno dell'intelligenza che risiedeva lì, Jones poteva quasi sentire il cucciolo che attirava dentro sé la musica, la tonda forma a palla di pelo immobile o dondolante intensamente di fronte agli amplificatori, gli occhi fuori fuoco o fissi su un punto qualsiasi del pavimento mentre Coltrane si bruciava la strada verso Dio su un blues minore o Ornette sollevava il sassofono e secoli di prigionia cognitiva cadevano in polvere senza nessun particolare dramma. Jones era solito testare i gusti della sua nuova bestiola con dischi diversi. Sembrava amare molto Bach e Bird – c'era in lui quella bizzarra quiete, prendeva quel buffo sguardo verso altrove negli occchi – ma mettigli un qualche Mantovani sul piatto e la cosa lasciava il salotto avanzando goffamente sulle quattro zampe. Passa a Mozart o Sonny Rollins e tornava sul tappeto di fronte allo stereo, ad ascoltare guardandosi il retro delle zampe nella luce del sole che pioveva dalle finestre, oppure schiaffeggiava placidamente i granelli di polvere dorati e li guardava roteare nei raggi declinanti del giorno.
Più carino di un cane e forse anche un po' più sveglio, pensava Jones a quei tempi, e non è strana l'esattezza con la quale sembra capire quel che gli dico? Anche se, è vero, a volte, e di solito perversamente, non capiva. Ma che me ne farò di lui quando diventerà più grosso? Non puoi tenere un orso adulto in un appartamento di New York. Dovrò farlo sopprimere con una puntura dal veterinario o regalarlo allo zoo. Jones odiava ammetterlo: nell'isolamento della sua vita a quei tempi, il cucciolo d'orso era diventato il suo amico più intimo. Gli parlava, si confidava, gli raccontava tutto. Un'assurda simbiosi si era sviluppata tra loro; sentiva che era tutto a posto ma pensava che fosse tutto sbagliato. Di notte, notando la particolare stupidità della sua caduta, Jones teneva lunghe conversazioni monologiche con il cucciolo, e qualche volta lui sembrava accennare un sì a qualche punto saliente, o esprimere tacitamente una sfumatura di simpatia con una comprensiva zampata sopra il ginocchio.
So che sono un fallito, gli diceva Jones, ma c'è rimasto qualcosa di buono in me? Il cucciolo gli dava una pacca consolatoria. Era un'idiozia. Poi, se diceva, Dai, tu mi capisci davvero, la cosa sbavava dall'angolo della bocca e cominciava a rosicchiargli la punta delle pantofole.
Metteva il cucciolo al guinzaglio e lo portava fuori nelle sue passeggiate per il quartiere, e incontrava un sacco di belle ragazze in quel modo. È davvero quel che penso che sia? Ma mi prendi in giro! Davvero? Venivano nell'appartamento per un caffè o una birra, ma tutto quel che ne aveva ricavato erano loro che giocavano con l'Orso per ore e ore, tenendolo stretto ai loro girovita divinamente snelli o a quei seni dell'East Village dai capezzoli tesi che premevano le T-shirt o i top, lasciando che quella cosina graziosa mettesse le zampe dove voleva, divertendosi ai suoi grandi umidi baci apparentemente casuali e ridendo persino della sua erezione color rosa intenso.
Se solo avessero saputo.
Cazzo, se solo lui avesse saputo.


(...il seguito domani)

lunedì 5 maggio 2014

voci, facce




Chi avesse l'insana voglia di guardare e ascoltare me e il mio degno compare Antonio Lillo, può farlo su YouTube, in quest'intervista realizzata un paio di settimane fa per 99TV/Tele San Severo. Per una mezz'oretta si parla di libri, di poesie, di case editrici e del mio ultimo/primo libro, "Approssimazioni".

Il tutto in un solido e pastoso accento pugliese. Lascio agli amatori il sottile piacere di distinguere tra il pugliese centrale di Antonio, il pugliese settentrionale del conduttore e il mio pugliese ormai largamente umbrizzato.

domenica 4 maggio 2014

il rumore che facevi (una poesia di Laura Corraducci)





non è vero che le cose raccontano
la vita sono in piedi da ore ad osservare
le onde dei capelli sulla spazzola
le scarpe spaiate sotto il letto
da loro aspetto almeno una parola
il rumore che facevi tu quando li usavi
il mare svuotato dentro i passi
non parla nemmeno la chitarra
la penna si è chiusa nel suo tappo
discreta tace ora anche la giacca
custodiscono fedeli la partenza
che fatta aria mi cammina sulla faccia
riposa sulla bocca pochi istanti
disegnandomi di te solo il ricordo


sabato 3 maggio 2014

cronache familiari: buona creanza




"Pepe... Pepe... Pepe!! Ma non ti taluta? Mamma, cledo che Pepe non mi abbia talutato!"


(Per la cronaca, Pepe è il barboncino dei vicini.)

venerdì 2 maggio 2014

aforisma al quadrato





Gli aforismi sono come i cibi liofilizzati: vanno sciolti, prima di ingoiarli. Sennò, fanno male.

giovedì 1 maggio 2014

belle (ri)scoperte

Sempre su FaceBook, c'è ancora in giro questa cosa mia.



L'avevo scritta per un concorso (questo), ma volendo lo trovate anche qui.